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“L’illustratore dalla grande carica emotiva” de La maestra Bianca

Mi piace sapere che nel nostro paese ci sono giovani artisti di grande talento: lui è Pellegrino Capobianco, un artista irpino che ho imparato a conoscere visitando il suo sito. Egli spicca per versatilità e desiderio di far vivere l’arte in ogni sua forma ed espressione; grazie all’arte infatti egli esterna la sua infinita voglia di comunicare agli altri il suo implacabile desiderio di dipingere, di dar libero sfogo ai suoi sentimenti. Spesso lo fa in maniera intensa, prorompente, come negli inchiostri o in opere con figure surreali ed oniriche. Non mancano però i momenti in cui Pellegrino Capobianco libera la sua creatività in maniera semplice e il suo essere bambino affiora nelle illustrazioni che riguardano la letteratura per l’infanzia. Il suo, quindi, è uno stile in continua evoluzione, una ricerca continua di quello stile che più lo rappresenta e che forse ancora non ha trovato. Questo artista è un fonte inesauribile di stimoli che favoriscono la realizzazione di opere dagli stili e tecniche completamente diversi; opere di rara bellezza e di notevole valore.

Io però voglio soffermarmi proprio sui sentimenti più pacati e semplici che animano le illustrazioni, le cover delle copertine dei libri per l’infanzia.

“Là dove nasce l’arcobaleno” propone illustrazioni dai colori vivaci, semplici, ma ben definite, ricche di particolari legati alla tematica del testo. Il bambino comincerà a leggere con gli occhi le illustrazioni di copertina per poi tuffarsi nel mare dolce della lettura. L ‘immagine della copertina è un inno alla freschezza: il verde delle foglie, le gocce di pioggia che sembrano danzare e dialogare con la giovane fanciulla dal volto incorniciato da un arcobaleno dai colori vivacissimi, mi fanno respirare il fresco. Ciò che invece mi colpisce nelle illustrazioni successive è lo sguardo dei vari personaggi: tenero e amorevole quello che il bambino rivolge alla madre. Anche ne “L’ incontro” lo sguardo è gioco forza: perplesso lui, più rassicurante lei. Nella “Bambina” c’è uno sguardo d’intesa tra il cane e la bambina: i due sembrano dialogare. Interessanti sono le illustrazioni che riguardano il mondo di “Piratino” quando il protagonista incontra Arcadia. Pellegrino Capobianco è riuscito a mettere in risalto, attraverso l’espressione del volto, proprio la curiosità del protagonista che cerca di spiegare al robot ciò che lui ha scorto dalla sua posizione: la maestosità del Colosseo.

Bello l’accostamento tra creatività ed elementi storici. In Piratino non mancano illustrazioni che riportano l’autore alla sua infanzia: calda e amorevole infatti è l’immagine di Piratino che osserva la nonna mentre prepara i biscotti; anche le illustrazioni che seguono sono intense, dai colori vivaci, collocate in un ambiente ricco di particolari, ma mai dispersivo. Un discorso a parte andrebbe fatto per “La ragazza dagli occhi viola”, la ragazza che graffia la vita con lo sguardo: un capolavoro che mi limito a citare.

Pellegrino Capobianco quindi non è solo un pittore affermato, ma anche un illustratore con una grande carica emotiva che riesce ad esternare attraverso una tecnica sempre più raffinata.

 La maestra Bianca.

 

Tra sogno e realtà – Recensione Mostra a cura di Martina Borghi

Camminando per le strade del centro storico di Avellino, mi sono imbattuta, piacevolmente ed inaspettatamente, lo scorso fine settimana, in un’interessante esposizione di quadri presso la chiesa di Sant’Anna ad Avellino. La mostra, dal titolo “Tra sogno e realtà”, è stata organizzata nell’ambito della rassegna “Maggio nei Monumenti”, pregevole iniziativa, promossa dall’Assessorato alla Cultura del Comune di Avellino, in collaborazione con la Diocesi di Avellino e l’Ufficio Beni Culturali e Edilizia di Culto, che combina sapientemente la promozione dei versatili artisti locali con la riscoperta dei monumenti e del territorio da parte degli abitanti della città e non solo.

L’artista che ho avuto il piacere di ammirare è l’avellinese Pellegrino Capobianco, in arte Crinos, nome assai ben conosciuto tra la comunità artistica locale e ben riconoscibile per il suo stile decisamente avanguardista e poliedrico. Dando una prima occhiata alle opere scelte dall’artista per la mostra, ciò che mi ha maggiormente colpito è la varietà, la complessità e la profondità tematica dei soggetti scelti e l’ardire dell’artista nel coniugarli assieme. Si passa, infatti, da un soggetto familiare come in “La nonna lavora di… fantasia”, a tematiche strettamente religiose come nelle opere “Apocalisse” ed “Alla fine arriva San Giorgio”. Non mancano, poi, riferimenti mitologici in “Sirene”, mentre una buona parte delle opere esposte è caratterizzata da uno stile decisamente neo-surrealista che dialoga in maniera innovativa con la cornice settecentesca della chiesa di Sant’Anna che ha ospitato l’iniziativa.

Da un punto di vista stilistico, i quadri di Crinos si animano di atmosfere oniriche e fantastiche dove si alternano scenari boschivi, città misteriose e paesaggi asettici, quasi alieni, in cui si pone l’accento su una geologia arida ed enigmatica. La pennellata dell’artista è sinuosa, poetica, raramente, infatti, si ritrovano nei suoi quadri linee nervose, spezzate o di stampo informale. Vi è, invece, un’attenzione, seppur innovativa, per la plasticità delle forme e per una resa anatomica delle figure. La formazione dell’artista, laureato in Archeologia e con un Master sul mercato dell’Arte Contemporanea, trapela dalle sue tele. Oltre ai già citati riferimenti ai soggetti religiosi e all’iconografia di miti antichi, si evidenzia in Crinos una profonda comprensione delle Avanguardie storiche di primo ‘900. Il surrealismo è presente per l’utilizzo di atmosfere oniriche e di personaggi assurdi, quasi usciti dall’inconscio umano, mentre la conoscenza del Futurismo è evidente nella composizione e nella strutturazione di alcune tele. “Costruzione e distruzione” ricorda, nella pennellata e nelle figure dipinte, la scomposizione tipica della ricerca futurista, dove si cerca di unire assieme tridimensionalità e movimento. “La nonna lavora di…fantasia” rievoca, invece, il ben noto ciclo di dipinti che l’artista Umberto Boccioni dedica all’anziana madre.

Concludendo, l’artista Crinos, è una figura ecclettica, vitale e innovativa che ben figura nel panorama artistico irpino e di cui, sono sicura, sentiremo ancora molto parlare.

 

Martina Borghi
 (Storia e critica d’arte)

Crinos e l’amore per i colori di Ornella Fiorentini

Avrei tergiversato volentieri, appena tornata dal viaggio d’amore nella Mitteleuropa in cui avevo raggiunto l’altra metà del mio cuore. Ancora stupita dalla placida grandiosità estiva del Danubio, incantata dalla musica di Mozart e inebriata dalla bellezza solenne di Vienna, a dire la verità, non avrei avuto voglia di scrivere subito un altro articolo per It’s different, ma si può forse declinare l’invito garbato dell’editore Paolo Gentili? Se l’avessi infatti prontamente abbozzato sull’inseparabile Moleskine, una volta ritrovata la mia stilografica preferita nella valigia traboccante di souvenirs, cioccolatini al marzapane e vasetti di marmellata ai lamponi, sarebbe uscito nel numero di agosto su Pellegrino Capobianco. In arte Crinos, ventisette anni non ancora compiuti, vincitore assoluto di gare matematiche al liceo scientifico, archeologo specializzato in Etruscologia all’università “L’Orientale” di Napoli, è un promettente pittore autodidatta che vive e lavora ad Avellino. Della sua città dice che è una piccola realtà. Della Campania apprezza l’opportunità unica, per un archeologo, d’ immergersi nello studio dei musei all’aria aperta di Ercolano e Pompei. La passione per l’iconologia e il significato allegorico dei simboli, non solo lo ha sostenuto nella sofferta scelta della facoltà universitaria a discapito della predisposizione innata per la matematica, ma gli è inseparabile e quotidiana compagna in pittura. Crinos e l’amore per i colori accesi nei toni del turchese e del rosso… Sono i suoi preferiti anche nella vita. Quando nel novembre dell’anno scorso, in occasione della kermesse culturale internazionale di “Le Notti Ritrovate”, organizzata dall’infaticabile agente letterario Tina Rigione, visitai lo spazio espositivo del severo ex Carcere Borbonico di Avellino, ricordo di essere stata immediatamente colpita da “Demone nell’ombra”. Le vaste campiture di rosso vengono stemperate al centro della composizione dai toni freddi del turchese e del grigio. Evidenziano lo sgomento del giovane passante (forse è lo stesso Pellegrino Capobianco?) mentre si accorge che alle sue spalle avanza una creatura mostruosa, testa e lingua da antico rettile. Immagino che il demone sia l’estrinsecazione visiva della paura di vivere dei giovani. Sono consci di doversi destreggiare in una società che di certo non li incoraggia ad affermarsi da un punto di vista dell’autonomia lavorativa e personale. Il demone si muove sicuro su una struttura tubolare composta da anelli che s’incastrano. Appaiono come le vertebre forti che lo rendono quasi invincibile. Lo sospingono verso la figura umana che gli si contrappone. Contrae l’addome e inarca la schiena. Si originano due linee oblique che s’intersecano all’altezza del gomito. Ne scaturisce la tensione dinamica necessaria che tuttavia non deborda il limite di una rassegnata compostezza. In “Eclissi di sole”, il paesaggio desertico e aspro fa da sfondo al giovane guerriero, che armato di una gomma circolare, simile a un piccolo scudo, e non di una lancia, ma di una lunga matita, assiste impotente alla metamorfosi del sole. Diviene un temibile drago che divora la luna come al tempo del mito. Sembra che la ragione logica abbia il sopravvento sull’inconscio, ma si può vivere senza sogni? La risposta di Pellegrino Capobianco è un no! chiaro e forte. Il giovane guerriero ha solo un’arma per difendere il diritto alla libertà di espressione: il disegno. Con la grande matita vibrante di luce vince la sua battaglia personale. Spezza una lancia a favore della libertà di espressione, un tema di grande attualità al giorno d’oggi. Nella pittura l’artista trova quindi una ragione di vita. Anche in ”Eclissi di sole” prevalgono il rosso e il turchese, illuminati dagli ultimi bagliori argentei di una luna quasi nera. L’oro dell’elmo, ripreso nel mantello del ragazzo rappresenta un giusto punto cromatico caldo nella solitudine fredda del blu, che diventa ghiaccio.

“Pellegrino, direi che l’uso del colore è di per sé espressionista nei tuoi quadri. A quale corrente pittorica senti di appartenere?”

“Per molto tempo ho sempre risposto al Surrealismo. Ora sinceramente non ne sono più sicuro. Penso che mi piacerebbe essere il capostipite di un nuovo genere pittorico. Il rosso e il turchese sono importanti nei miei quadri, ma, a questi, devo aggiungere il bianco, il nero, il giallo e il verde. Sicuramente posso dire però che ogni colore è importante perché è in grado di trasmettere un significato e un’energia diversi. Combinarli insieme è una delle cose che più mi divertono nella pittura”

Trovo piacevolmente disarmante il suo entusiasmo per l’arte. Continuo: ”Ritieni di essere libero di dipingere come desideri oppure ti senti legato a un maestro di cui ricalcare le orme?”

Risponde di getto: “Assolutamente no. Sono libero nella pittura e dipingo come so e come ho imparato a fare. Non mi divertirei più se dovessi emulare lo stile, la tecnica e le tematiche di un “maestro”. Studiare è importante ed avere qualcuno che ti aiuti a migliorare è senz’altro utile. Ma, poi il tutto deve essere metabolizzato dal pittore affinché crei autonomamente”.

“Di recente a Vienna ho ammirato esempi splendidi di pittura al Leopold Museum. Mi riferisco alle opere di Egon Schiele e di Gustav Klimt. Cosa ne pensi?”

“Nel corso del tempo l’arte figurativa ha avuto diversi modi di esprimersi. Ho compreso che, prima di giudicare, bisogna studiare, approfondire e leggere tutto ciò che compone un’opera: i colori, il tratto, i soggetti e il contesto storico. Non sono propenso a dare rapidi giudizi, tuttavia posso dire di apprezzare sia la pittura di Egon Schiele sia quella di Gustav Klimt. In entrambi i casi la figura umana è la chiave delle opere. Diventa scarna e quasi putrefatta in Egon Schiele, onirica e barocca in quella di Gustav Klimt”

“Quale grande pittore prediligi?”

“Salvador Dalì”

“Ami i romanzi, i saggi di archeologia, i libri di storia o quelli di poesia?”

“Mi piacciono i romanzi storici. Ti posso dire che il Pendolo di Foucault di Umberto Eco è uno dei libri che più ho amato”.

“A parte Umberto Eco, quale autore ci consigli?”

“Decisamente J. R. Tolkien”

“Quando dipingi sai di essere Pellegrino Capobianco oppure ti senti un altro pittore?”

“Sono Pellegrino Capobianco in arte Crinos. Non mi sento nessun altro. Sono me stesso completamente. L’uso di uno pseudonimo è nato per pur caso, tra i banchi di scuola, scrivendo il mio nome nel linguaggio e nello stile dei writers americani. C di Capobianco + RINO di PellegRINO. È stato poi divertente scoprire che questo pseudonimo CRINOS potesse significare anche altro: dal greco KRINO “io giudico, distinguo”. Una coincidenza? Penso di no. Cos’altro fa un artista? Distingue e giudica il mondo dal suo punto di vista. Poi mi sono convinto che lo pseudonimo potesse calzarmi a pennello quando ho scoperto che apparteneva anche ad un personaggio mitologico, il licantropo. Come il centauro e il minotauro è un essere che vive tra due mondi, quello umano e quello animale. Dunque è in grado di comunicare con entrambi cosa che l’uomo ha nel tempo dimenticato o rifiutato. Coincidenza? Credo che l’artista comunichi volontariamente e non a più livelli sensoriali. È colui che, nelle numerose ore dedicate alla pittura, riesce a raggiungere autonomamente alti gradi di meditazione e concentrazione pari a quelli degli asceti. Senza dubbio può acuire le proprie capacità percettive”.

“Concepiresti la tua vita senza la pittura?”

“Ci ho pensato e non mi sono sentito molto contento”.

“Anagraficamente sei giovane. Il cammino dell’arte è impervio. Quali sacrifici sei disposto a fare per la pittura?”

“La pittura mi fa stare bene e quelli che faccio per Lei non sono sacrifici”.

“Hai una musa ispiratrice oppure pensi che se ne possa fare a meno?”

“La pittura è la vita. Ci sono momenti in cui una donna può divenire il centro della tua esistenza e, come tale, fonte di ispirazione e di piacere, altri in cui si cerca di dimenticarla e allora diventa necessario cancellarla da ogni pensiero e inseguire altre emozioni e sensazioni, forse accantonate e perdute”.

“Ami dipingere dal vero oppure il quadro evidenzia solo un mondo interiore, avulso dal dato figurativo reale?”

“Amo che le due cose si fondino a vicenda”.

L’intervista con Pellegrino Capobianco è un susseguirsi avvincente di parole in sintonia. Non capita spesso. Capisco di aver fatto centro quando mesi fa timidamente gli chiesi se gli sarebbe interessato disegnare l’immagine di copertina e della quarta di copertina del romanzo che sto scrivendo. Trattandosi di una storia noir davvero particolare, ambientata nella nebbia invernale del delta del Po, ero alla ricerca di un artista che sapesse cogliere l’essenza surreale e talvolta onirica della trama. Inviai a Pellegrino Capobianco solo qualche pagina del capitolo in cui descrivo minutamente l’interno di un vecchio battello fluviale. Risalito il Po di Volano, approda nella darsena di Ferrara e fa da scenario al dialogo drammatico di due donne antitetiche. Ognuna avrebbe da raccontarsi all’altra, ma il dialogo diventa alla fine quasi il monologo di ognuna. Per doverosa scaramanzia non posso rivelare altro sul mio nuovo figlio di carta che vedrà la luce prossimamente, ma posso anticipare ai lettori di It’s different che Pellegrino Capobianco ha creato due opere sorprendenti.

“Quanti anni avevi quando hai cominciato a dipingere?”

“È stata una esigenza naturale, direi un’evoluzione. Disegno da quando sono in fasce! Mio padre mi racconta che fino a tarda notte restava sveglio con me in braccio mentre riempivo interi fogli con cerchi e linee (e non sapevo ancora parlare). Mi dicevano e dicono che era un dono naturale, visto che nella mia famiglia nessuno sapeva dipingere. Attraverso il disegno osservavo il mondo. Ad un certo punto ho sentito che il foglio di carta mi limitava e sono gradualmente arrivato alla tela e alla pittura verso i 16, 18 anni. Spesso mi diverto a creare nuovi universi”.

“I tuoi genitori e i tuoi fratelli ti hanno sempre sostenuto?”

“Ci sono stati due momenti in cui l’appoggio dei miei genitori è vacillato. La prima volta in occasione dell’iscrizione della scuole superiori: la mia scelta oscillava tra l’istituto d’arte e il liceo scientifico. E miei non hanno celato la loro disapprovazione per questa indecisione. La seconda volta in occasione dell’iscrizione all’Università: anche questa volta il mio tentare il test di accesso all’Accademia delle Belle Arti di Napoli non piaceva molto a mio padre. Devo dire però che mia sorella, mio fratello e mia madre sono dei veri sostenitori. Hanno sempre manifestato entusiasmo per le mie qualità artistiche. Le critiche di mio padre, che riesce a tenermi con i piedi per terra, sono molto utili. A dire la verità però l’ho più volte sorpreso a vantarsi con gli estranei delle mie capacità.”.

“Quando finisci un quadro, sei preda del dubbio o sei sicuro che piacerà al pubblico?”

“Sono sicuro che non è finito! Ho sempre l’impressione che manchi qualcosa. L’immagine figurata nella mia mente sembra sempre avere un dettaglio in più rispetto a quella dipinta. Sono in dubbio se piacerà o meno solo quando dipingo su commissione, quando dipingo per me stesso non ho di questi problemi”.

“Ti prepari meticolosamente prima di iniziare un nuovo quadro, devi sottostare a qualche rito propiziatorio oppure ti senti immediatamente coinvolto e lavori velocemente?”

“Riti propiziatori o scaramantici, non credo di averli mai adottati. Ogni quadro è una storia a sé: alcuni nascono direttamente sulla tela, evolvendosi e modificandosi rispetto all’idea originaria; altri sono la trasposizione su tela di schizzi di persone, cose, paesaggi o idee che realizzo su diversi supporti cartacei, che mi capitano sotto mano, durante le diverse ore e i momenti della giornata”.

“Ti piacerebbe vivere nel passato?”

“Viaggiare nel tempo è uno dei miei sogni. Sicuramente però la tua domanda aveva un altro senso, allora ti rispondo: non lo so, ogni epoca mi sembra degna di essere rivisitata”.

“Che rapporto hai con gli altri pittori?”

“Buono. La cosa che mi colpisce è che ognuno ha una storia da raccontare. Vale la pena ascoltare. Non digerisco i fanatici e chi si sente superiore agli altri. Quando capita di incontrare tali persone mi ripeto che non diventerò mai come loro. Nella vita ci vuole umiltà”.

“Qual è stata la persona più importante dal punto di vista della tua preparazione artistica?”

“Nessuno in particolare. Sono un autodidatta, per lo più quello che faccio e so fare l’ho appreso da solo o rubato con gli occhi guardando qualche altro pittore dipingere”.

“Pensi che per un archeologo sia compatibile la passione per la pittura?”

“Sì. Pittura e archeologia sono sicuramente compatibili. Tuttavia in entrambi i casi la dedizione assoluta credo sia fondamentale per poter raggiungere ottimi risultati e questo sarà per me un problema”.

“Iconologia… Simboli… Totem… Draghi… che valenza hanno nella tua pittura?”

“Sono molto importanti. Amo i simboli per i loro significati stratificati, così da potermi consentire di creare qualcosa che possa avere più di una semplice lettura. Quando poi il senso diventa criptico allora è ancora più divertente. È come giocare a scacchi con l’osservatore. L’uomo crea delle immagini con dei significati e poi il tempo li trasforma. Basti pensare alla svastica per esempio. Non è altro che un simbolo solare risalente alla Preistoria”.

“Avellino è priva di mare. Ti piace l’acqua?”

“Adoro il mare. Colori, atmosfere, misteri, storie … il mare è un mondo a sé che mi ha sempre affascinato.”

“Cosa pensi dell’amore?”

“L’amore è qualcosa di straordinario che tanto può innalzarti verso il cielo quanto può scaraventarti all’inferno. Non l’ho ancora ben compreso”.

“Se per amore ti chiedessero di lasciare la pittura o l’archeologia, cosa faresti?”

“Mi chiederei se è amore quello di cui stiamo parlando”.

“E l’amicizia che cosa è per te?”

“Credo che l’amicizia sia una lunga e dura conquista”.

Quanto è vero! Sono completamente d’accordo con Pellegrino Capobianco. A Avellino non siamo riusciti ad incontrarci. Non ci conosciamo personalmente. Chiedevo sue notizie in galleria agli altri pittori che puntualmente mi rispondevano di ritornare il giorno dopo. Dalle risposte alle mie domande mi rendo conto che Crinos è un tipo veramente in gamba. Vorrei che l’intervista continuasse. Insisto: “Ti sei mai sentito un vate o un grande sacerdote quando fai degli scavi archeologici?”

“Le sensazioni che provo sono molteplici, ma non credo di essermi mai sentito un vate o un grande sacerdote. Quando lavoro ho a volte pensato di essere Indiana Jones … va bene lo stesso?”

Direi proprio di sì, caro Pellegrino. Ti prego anzi, anche quando vai in una necropoli, di portare sempre con te la grande matita vibrante di luce del giovane guerriero per disegnare un mondo migliore.

Ornella Fiorentini